Appena viene proclamato un premio nobel della letteratura, ecco che i titoli del premiato (in questo caso #premiata) occupano i primi posti nelle vendite. Si creano mode, si creano fenomeni che però avranno una durata limitata. Magari non sarà il caso di Han Kang…
Sta di fatto che, con il discorso precedente, non voglio assolutamente fare lo snob, anzi. Ammetto con tranquillità di essermi fatto influenzare dalla situazione contingente e decidere di parlarne in maniera approfondita.
Il libro non mi era del tutto sconosciuto perché ne avevo sentito parlare per vie traverse qualche mese fa da addetti ai lavori. La storia mi aveva incuriosito perché al di là di quello che succedeva esisteva nella storia esisteva nell’impianto una componente che si poneva a metà tra il surreale e la trasfigurazione.
Premetto che non ho una grande attrattiva verso i libri di origine asiatica. Il più delle volte ne vengo rimbalzato, ma non perché siano particolarmente negativi. Solo che, nonostante i tentativi fatti in passato con le più svariate penne, ancora non mi sento in grado di avere un sufficiente background per apprezzare.
Il libro consta di tre parti. A mio parere, la prima è quella che ha un #sapore europeo, per elementi letterari che possono essere ravvisabili anche alle nostre latitudini. Riesce anche ad attirare perché la voce della narrazione è affidata ad uno dei personaggi più importanti del plot.
Il passaggio dalla prima alla terza persona, dettaglio che avviene nelle due parti successive, mi avrebbe disturbato meno se, a un certo punto della vicenda, Kang fosse ritornata ad affidare allo stesso personaggio della sezione iniziale la prospettiva di tutto.
Secondo e terzo capitolo contribuiscono ad accompagnare chi legge in una spirale progressivamente inquietante. Se la parte centrale possiede squarci di magia ed elementi che possono esulare da categorie preordinate, la sezione conclusiva è decisamente più votata al dramma di questa donna il cui proposito di smettere di mangiare carne non viene accettato da riti e consuetudini di quei posti.
Non mancano di sicuro simboli nella rappresentazione degli avvenimenti sulla cui interpretazione, però, non mi lancio, proprio per preparazione inadeguata sull’argomento.
Di solito consiglio o sconsiglio un testo.
In questo caso non faccio né l’uno né l’altro proprio perché non ho pezze d’appoggio per sbilanciarmi da una parte o dall’altra. Di sicuro, va letto per parlarne con cognizione di causa.
Enrico Redaelli per GlobalStorytelling