Facendo riferimento al periodo trascorso in un reparto psichiatrico dopo la nascita del figlio, Sankey intreccia la narrazione personale con filmati storici e cinematografici. Il film presenta interviste con professionisti del settore medico, pazienti e storici, offrendo una prospettiva sfaccettata su come le donne con problemi di salute mentale siano state stigmatizzate e fraintese nel corso del tempo e creando una “congrega” di donne per rivendicare le loro storie.
L’argomento che tratta il film è molto delicato, spinoso e ancora oggi purtroppo considerato un tabù. Alcune donne con presunti problemi mentali oppure che si sono sentite sole e spaventate dopo il parto vengono ancora oggi descritte come se avessero qualcosa di sbagliato in loro perché , ad esempio, la nascita di un figlio deve portare solo gioia. Tutto è legato al fatto che tali donne non riescono a soddisfare quello che la società, oggi come ieri, le richiede in maniera unilaterale e senza possibilità di sbagli o indecisioni. Quelle che non ci riescono vengono bollate come sbagliate, malate, rinchiuse e tanto altro.
Vengono usati spezzoni tratti da ogni genere di film passando da “Il Mago di Oz” ma anche i film della Hammer unendo molto bene colori saturi e fantasiosi con raffigurazioni più cupe e horror per creare contrapposizioni ed esempi di donna coraggiosi ma vessate e schiacciate dall’esterno.
Ne viene fuori un film coraggioso perché incisivo nel portare avanti i propri principi riuscendo a fare la giusta morale con tocco a volte leggere e a volte più cupo. Il livello tecnico trova il suo merito nel sapere usare tali metafore variegando le fonti, sapendo colpire al cuore con suggestioni storiche che sembrano divertenti per poi riuscire a trasmettere i giusti significati.
Andrea Arcuri