Maria cerca di conciliare maternità e carriera mentre il marito Sigmund è spesso via per lavoro. La pressione logora il loro matrimonio, finché lui le chiede il divorzio, costringendola a fronteggiare le sue paure più profonde. Travolta dal dolore e da ricordi repressi, Maria capisce che la chiave per comprendere la sua crisi è affrontare l’immagine di sé.
Il film d’esordio di Lilja Ingolfsdottir è un ritratto sui rimpianti e sui punti di vista. Dalle prime avvisaglie del rapporto logoro tra Maria e Sigmund potrebbe venir fuori che la donna ha tutte le ragioni e che in effetti si senta soffocata dalle troppe responsabilità e un uomo troppo assente. Verrebbe da dare totalmente ragione a lei per le sue insoddisfazioni e potremmo anche noi additare il marito dei suoi sbagli così evidenti. La regista però è brava a far insinuare il dubbio, non legato a chissà quale accadimento particolare tra la coppia con colpi di scena rivelatori e fuori luogo, bensì mettendo al centro Maria attraverso un sottile lavoro psicologico ecco che vengono fuori alcuni aspetti del suo carattere difficili da individuare ad un occhio poco attento.
L’interpretazione di Helga Guren è centrale e totalitaria mentre il resto del cast è costituito da alcuni personaggi come la madre, il marito e i figli che fanno solo apparizioni quasi fugaci. Tale accentramento riesce a farci comprendere al meglio le mille sfaccettature di questo personaggio riuscendo a creare un legame a volte non semplice con qualcuno difficile da amare in più passaggi. Il film però ha proprio questo obiettivo; attraverso l’onestà e la messa a nudo di ogni aspetto ecco che vuole far capire come a volte il rapporto più difficile che si può vivere è proprio quello con se stessi.
Attraversiamo così varie fasi del percorso di Maria da quello più disperato nell’essere convinta di aver ragione a tutti i costi fino a comprendere meglio il suo malessere e conoscere meglio il vero motivo della rabbia verso gli altri ma soprattutto con se stessa. L’esame di coscienza che ne consegue arriva in modo graduale attraverso piccoli espedienti narrativi, dialoghi mai portati all’eccesso o pieni di dettagli inutili ma più suggeriti e lasciati sedimentare che ci portano a vivere momenti catartici e rivelatori che magari non risolvono davvero la situazione, ma fanno capire tantissimo.
Andrea Arcuri