Quasi un “One woman show” per la trasformista Veronica Pivetti. Veste i panni di una fantasiosa, fantastica, inventata poetessa Aura D’Antan per parlare seriamente, ma con una verve e un piglio ironico, di tutto quello che è stato detto e scritto sulla donna a partire da esimi e stimati neurologi che hanno contribuito ad alimentare nei secoli la diceria riguardante l’ inferiorità intellettiva del genere femminile. Tutto da confutare, da riscrivere, da ripudiare con forza. Anche oggi questo necessario processo di asseveramento di una verità negata troppo a lungo ha ancora molta strada da fare. Il cervello della donna è più piccolo rispetto a quello dell’ uomo ed è vero, pesa di meno e anche questo è vero ma contiene lo stesso numero di neuroni (e forse un pugno in più di connessioni sinaptiche) e tutta la storia di una inferiorità basata addirittura da studi scientifici è una vera bufala. Eppure, ancora oggi, la donna subisce un trattamento irrispettoso e gretto da parte di uomini piccoli e meschini.
Veronica è così brava, magnetica sul palco, alternando un monologo serrato a parti più distensive in cui canta, con voce intonata, pezzi celeberrimi. Accompagnata dal polistrumentista, body-percussionist e drummer Anselmo Luisi confeziona uno spettacolo che cattura come una calamita. Non smette di ricercare l’attenzione del pubblico che è parte attiva in un excursus che ripercorre le tante idiozie che sono state date per vere sulla condizione femminile.
Il monologo ha un giusto equilibrio tra parti più serie e intermezzi più leggeri. Uno spettacolo che racconta con garbo da dove si è partiti nel forgiare una teoria strampalata e discriminante sulla natura della donna che ha contribuito non poco a relegarla in un angolo quando invece avrebbe potuto occupare il suo legittimo spazio da subito e senza bisogno di battaglie femministe.
Novanta minuti di riflessione con il sorriso che meritano un plauso fortissimo per un’attrice che sa utilizzare con molta efficacia il suo corpo e la sua voce modulando con destrezza e, senza apparente sforzo, il registro comico con quello più drammatico.
Virna Castiglioni per Global Story Telling