“C’ero una volta” di Buffy Cram. Recensione

7 Mar, 2025

Romanzo di formazione #psichedelico.

La sua narrazione è affidata alla protagonista Elizabeth che, nel raccontarsi, suddivide la sua vita in perfetta alternanza tra un #prima (fine anni sessanta) e un #dopo (il 1980, il presente). Tra i due momenti, vi è una #parentesi nella quale la ragazza è rimasta reclusa in un centro di detenzione giovanile. Tralasciando questi aspetti relativi alla trama, la divisione così netta serve a mettere in luce una serie di dettagli.

Nel #prima, il centro di tutto è rappresentato dal rapporto con la madre Margaret, caratterizzato da una costante volontà di Elizabeth di piacerle, dettata da quell’ansia da prestazione tipica di chi è #fragile_inside e fa fatica a crearsi una situazione accettabile di autostima. Tra di loro, poi, conta molto la #presenza_assenza di Michael, fratello gemello di Elizabeth.

E’ poi la stessa madre a non circondarsi di stabilità, lavorativa ed affettiva, e a ricercare negli antidepressivi un rifugio per calmare i suoi altalenanti stati d’animo. E’ la presenza di questi antidepressivi ad essere un’anticamera alla psichedelia che contraddistingue l’intero romanzo. La necessità di sbarcare il lunario e l’entrata in scena di una comunità hippy completano il discorso aggiungendo in alcuni passaggi una componente surreale non indifferente.

Il #presente risulta invece connotato da una maggiore volontà di ricostruzione di se stessa da parte di Elizabeth, ma allo stesso tempo c’è il desiderio di ritrovare le proprie origini (cioè la madre) come se si trattasse di qualcosa di illegale, qualcosa da fare clandestinamente.

Alternare l’#oggi al #passato poteva essere una buona soluzione narrativa, soprattutto se si parla di un romanzo di formazione, perché con questo gioco si potevano spiegare (e si sono pure spiegati) alcuni risvolti del carattere della ragazza sottolineando anche come lei si sia evoluta nel tempo.

Il problema è che questa successione di episodi, per il modo in cui è presentata, finisce per disorientare un po’ anche se non del tutto. Per quanto divertente, la vicenda risulta troppo serrata e non godibile come meriterebbe, anche se mi rendo conto che illustrarla diversamente avrebbe potuto rovinare ancora di più l’effetto globale.

 

Enrico Redaelli per Globalstorytelling