Edward, aspirante attore, si sottopone a un intervento medico radicale per trasformare drasticamente il suo aspetto. Ma il suo nuovo volto da sogno si trasforma rapidamente in un incubo, perché perde il ruolo che era nato per interpretare e diventa ossessionato dal desiderio di recuperare ciò che è stato perso.
Il film procedere per metafore e dimostra come spesso le persone sono le vere responsabili di un processo di auto-sabotaggio. Si cerca la perfezione, la bella presenza e l’accettazione attraverso i mezzi sbagliati quali l’aspetto esteriore senza capire che se all’interno rimaniamo gli stessi, tutto questo non serve. Siamo convinti che la nostra autostima passi necessariamente da quel senso di accettazione da parte degli altri che possa essere un eventuale rapporto amoroso ma anche solo essere trattati in maniera normale. Allo stesso tempo è proprio la nostra singolairtà a permetterci di spiccare e quindi farci notare da qualcuno in particolare o di poter ottenere una parte in una rappresentazione teatrale come appunto scopre Edward.
Il regista crea così una commedia nera che fa satira cercando di passare per l’empatia nei confronti dei freaks. Il politically-correct viene messo da parte, il grottesto in certe situazioni viene quasi ridicolizzato e tutto serve per dimostrare come di fatto i cambiamenti nella nostra vita che a volte siamo così desiderosi di cambiare, in verità non riusciamo a cambiarli affatto.
Si potrebbe andare avanti ad elencare altri messaggi che “A Different Man” veicola nel suo percorso e siamo sicuri che con seconde visioni potremmo anche accorgerci di altri aspetti che ad un primo impatto non riusciamo a cogliere. Per questo rimane un film profondo e di alto spessore caratterizzato da due performance davvero magnetiche (Sebastian Stan e Adam Pearson) e uno stile che nonostante alcuni momenti di rallentamento, riesce a riprendere con l’aggiunta di alcuni passaggi narrativi inaspettati.
Andrea Arcuri
