Se hai un grosso debito con lo strozzino più sadico e pericoloso della tua città, disposto a inseguirti in capo al mondo, se non hai la minima idea di come ripagarlo, se non hai vie di fuga né piani B, se non hai niente da perdere, tranne la tua stessa vita, perché non diventare un Sacrificabile in un viaggio interstellare verso un pianeta alieno? La tua unica mansione consisterà nel fare da cavia in diversi esperimenti mortali, per poi essere clonato ogni volta con coscienza e memoria aggiornate. Un lavoro garantito per sempre…
È quello che accetta Mickey, interpretato da un eclettico Robert Pattinson, il protagonista di “Mickey 17”, il nuovo film di Bong Joon-ho, da sempre interessato alle allegorie della società turbocapitalista, spesso filtrate attraverso la lente della fantascienza. È il genere che gli ha permesso di conquistare il mondo nel 2013 con “Snowpiercer”, e con cui non si confrontava dal 2017, l’anno in cui uscì “Okja”. Un genere che, nelle sue svariate declinazioni, ben si presta alle metafore, che in “Mickey 17” abbondano e, a volte, sono anche un po’ troppo esplicite. Come in Snowpiercer i vagoni di un treno in viaggio senza meta simboleggiavano i ceti di una società distopica senza alcun obbiettivo se non quello di autosostenersi mantenendo sempre lo status quo (i ricchi e potenti in testa, la plebe in coda), qui un’astronave in rotta verso un pianeta sconosciuto da conquistare e colonizzare, capitanata da uno sgradevolissimo politico fallito con manie di grandezza e riscatto, gigionescamente interpretato da Mark Ruffalo, rappresenta l’ossessione del genere umano nel sottomettere popolazioni ritenute deboli e inutili, qui incarnate da creature vermiformi tanto mostruose quanto innocue, convinti della propria superiorità razziale, religiosa, tecnologica. Una convinzione sostenuta dalla totale libertà da parte dei potenti – Ruffalo coadiuvato da un’impeccabile Toni Collette, la sua perfida moglie, la vera mente del duo – di disporre a piacimento dei propri sottoposti, ben lieti di obbedire ciecamente in nome della causa e del proprio “carismatico” leader.
Tra questi spicca proprio Mickey, non esattamente un sostenitore dell’autoelettosi Comandante in carica, ma certo disponibile a sottoporsi a qualunque tortura in nome della ricerca scientifica, di quel progresso che permetterà all’equipaggio di arrivare sano e salvo alla loro terra promessa, pronto a occupare e proliferare. Che sia testare un virus sconosciuto per trovare un vaccino, un antidoto sperimentale contro l’allergia da carne sintetica, o semplicemente respirare l’aria del pianeta alieno per scoprire se l’atmosfera è nociva all’uomo, Mickey non si tira mai indietro. Lui, come si è detto, non ha altro che la propria vita da offrire agli altri, al Sistema, e lo accetta con la serenità e l’ingenuità di un Candide del futuro, tanto sulla Terra ha perso il suo diritto all’esistenza. Meglio quindi morire tante volte, continuamente, che una volta sola e per sempre. E tutto questo è possibile grazie alla prodigiosa macchina della clonazione, un’invenzione straordinaria, assolutamente illegale sulla Terra ma non nello spazio, che il team di scienziati al soldo del Comandante sfrutta il più possibile, senza alcun limite etico. Quando tutte le leggi cessano di esistere, e l’unica guida politica e morale è un egocentrico frustrato che vede nella sottomissione dell’altro il solo modo di imporsi e governare, le cose possono solo peggiorare. A meno di un improvviso e brusco cambiamento dal basso…
L’unico, vero, difetto da sottolineare in quest’opera, quindi, è un certo eccesso di didascalismo non sempre necessario -anche se ciò permette ai temi affrontati di essere sempre ben a fuoco- soprattutto da parte di un regista che ha sempre dialogato benissimo con le immagini. Le location, i vari interni dell’astronave e qualche esterno del pianeta gelido e innevato, sono limitate ma curatissime, e il world building è suggerito in maniera molto efficace ed elegante: bastano pochi cenni all’habitat e alle abitudini delle creature autoctone, rese in maniera perfetta dalla CGI, sia nei character che nelle interazioni con set e attori, per farci capire molto di loro e del loro mondo. A questo si aggiungano l’interpretazione funambolica di Pattinson, i suoi comprimari, tra cui spiccano Naomi Ackie (“Blink Twice”), nei panni della sua amante e tostissima addetta alla sicurezza, e Steven Yeun (“Nope”), nei panni del suo amico/nemico, un montaggio ritmato, con inizio in medias res, un costante umorismo di fondo, e le due ore e diciassette minuti della pellicola scorrono che è un piacere.
Un film consigliato a chi cerca una storia di fantascienza non banale, con temi alti e un approccio ironico che stempera anche le scene più grevi.
Alex Crippa per GlobalStoryTelling