Kassandra rivive il mito per accordarsi ad un presente che ancora oggi è incapace di porsi in ascolto, preferisce non credere a chi, con forza e determinazione, mette in guardia, avvisa, urla la sua verità. Soprattutto se chi lo fa è giovane, è donna, è sola, è povera, è spudorata, è indipendente la sua voce non conta. Non serve. Va zittita. Sul palco una city car simbolo delle città frenetiche da attraversare con velocità all’ interno di scatole che si fanno all’ occorrenza casa, rifugio, tomba. L’ attrice è una performer talentuosissima capace di esprimersi attraverso la voce, il corpo che mette letteralmente a nudo sul palco, in un’alternanza di canzoni e monologhi fitti e impegnati. Un ping pong emozionale che tiene desta l’ attenzione dello spettatore che è continuamente sollecitato a rispondere alle domande di Kassandra che cerca di instaurare una sorta di dialogo.
Interessante la scelta drammaturgica di far recitare utilizzando un inglese basico, imbastardito dalla strada, volgare e duro ma che recita la poesia più bella: la verità. Un contrasto che si fa potente anche nella scelta del personaggio molto distante dalla fanciulla descritta nella mitologia in un destino tragico di sottomissione. Ora è libera apparentemente, anche se c’è sempre qualcuno pronto a premerle contro un bavaglio.
Kassandra vuole farsi ascoltare, vorrebbe essere creduta. Chiede in continuazione di darle retta. Sprona con domande insistenti. Pretende una risposta. Quando finalmente arriva e, sempre a darle ragione in ritardo, ancora non demorde. Insiste, per tenere viva l’ attenzione e implora di non essere ributtata nel buio dal quale è avvolta.
Kassandra con la k è una prostituta immigrata che cerca di farsi capire come può. Come la Cassandra descritta da Eschilo, Euripide e Sofocle sarà una voce fuori dal coro destinata a soccombere. Millenni di anni dopo. Rimarrà la vox clamantis in deserto per quanto tempo ancora?
Virna Castiglioni per GlobalStoryTelling