Leonard Fife (Richard Gere) è un noto e stimato documentarista che alla fine dei suoi giorni, decide di raccontare la sua vita, senza filtri. Come regista di documentari d’inchiesta ha molto di cui essere fiero ma la fuga in Canada, la diserzione durante la guerra del Vietnam e alcune delle sue relazioni passate nascondono scomode verità. Quando Leonard rilascia l’ultima intervista ai suoi ex studenti, con l’attuale moglie Emma (Uma Thurman) in ascolto, le storie travagliate degli anni in cui era giovane rivelano l’uomo che si è nascosto dietro il mito.
Il film procede nel suo voler essere ambiguo e pieno di enigmi cercando di spingere lo spettatore a unire frammenti di storie a volte poco chiare. Sarà certamente una scelta dovuta anche a voler creare maggior legame col protagonista. I suoi racconti frammenti a volte possono sembrare divagazioni, magari inventati a causa della malattia che non gli permette di focalizzare bene ma alla fine il film stesso non parla davvero di Leonard perché è chiaro, questo si davvero, che il regista Paul Schrader vuole parlare di sè riguardo alle sue disgrazie private, senso di colpa e ricerca di redenzione.
Ecco che un certo tipo di ego viene fuori in forme differenti tra continui passaggi tematici e virtuosismi registici che Schrader continua a proporci in maniera forse troppo autoreferenziale e sfacciata. Proprio questo suo divagare nell’animo umano messo insieme ad un’estetica troppo ricercata fa perdere il vero interesse perché va bene chiedere al pubblico di seguire il film in maniera ragionata e attiva ma in cambio devi dargli qualcosa in termini di intrattenimento e originalità. La storia risulta inutilmente confusa e la frammentazione è un limite creando un distacco emotivo che ne impedisce il coinvolgimento da parte del pubblico.
Rimane una magnifica prova di Richard Gere che torna a collaborare con il regista 45 anni dopo ” American Gigolò ” ma questo è davvero troppo poco .
Andrea Arcuri