Samia nasce a Mogadiscio, in Somalia e all’età di 9 anni scopre di avere un grande talento: corre più veloce di tutti gli altri. Con l’aiuto del suo migliore amico Ali, Samia trasforma questo talento in un sogno: rappresentare la Somalia ai Giochi Olimpici di Pechino nel 2008. Al ritorno in Somalia, la ragazza diventa bersaglio delle rappresaglie degli estremisti al potere perché ha corso senza velo, un peccato mortale imperdonabile. Rischiando la vita, la ragazza decide di intraprendere il viaggio per raggiungere l’Europa.
Un film impegnato e forte sotto molteplici aspetti ma anche capace di portare avanti una componente di intrattenimento che gli permette di farsi apprezzare ad un vasto pubblico. Il film di Yasemin Şamdereli racconta la vita di Samia prima di correre partendo dalle difficoltà a scuola, gli allenamenti difficoltosi per il suo essere donna e di una nazione in piena guerra come la Somalia. Alla parte delle Olimpiadi viene dedicato poco tempo, veloce e quasi fulmineo per far capire che la parte importante di questa storia è ben altro. Infatti al suo ritorno a casa arrivano le vere difficoltà perché, avendo corso senza velo, si è messa contro molti connazionali nonostante aver rappresentato il suo paese di fronte al mondo intero.
La ricerca della dignità e del valore di una vita è al centro del film nonostante queste persone hanno non solo una vita ma anche una grande tempra morale. Anche loro hanno sogni, hanno poster appesi in camera dei loro eroi e sognano semplicemente di farcela nelle situazioni più semplici come ad esempio correre. Per trasmettere tutto questo c’è tempo per i momenti drammatici e per le morali al pubblico ma senza spiegoni o moralismi e c’è anche spazio per un po’ di parte romanzata come l’amico Ali che come nei migliori film sportivi è presente per stimolare e allena Samia. Questo permette al film di non farsi solo documentario, solo biopic o di denuncia ma permette di arrivare al pubblico come storia universale.
Il personaggio di Samia in tutto questo viene fuori molto bene anche e soprattutto grazie all’interpretazione di llham Mohamed Osman che non vuole mai passare come vittima né come simbolo delle donne a tutti i costi ma semplicemente come se stessa con le sue fragilità e difficoltà. La regista Yasemin Samdereli è sempre precisa nel mettere in scena umanità e dignità senza esagerazioni stilistiche o calcando la mano su nessun aspetto. Forse per qualcuno potrebbe essere un film troppo dismesso e senza una vera identità ma in questo caso la sobrietà che non significa noia o mancanza di coraggio si è rivelata la strada giusta.
Andrea Arcuri