Ambientato tra il 1992 e il 1995, il film segue la storia di un allenatore di ping pong, ispirato a Cai Zhenhua, che torna in Cina dopo essere stato all’estero con l’obiettivo di far crescere la squadra nazionale. Sotto la sua guida, cinque giocatori competono nei Campionati Mondiali del 1995 a Tianjin, mettendo in atto una controffensiva senza precedenti che porterà Kong Linghui a vincere la coppa del mondo maschile.
Risulta evidente che il film sia basato su una storia vera come anche il fatto, come spesso accade in questi film sportivi, che il finale sia prevedibile e documentato. Siamo certamente di fronte alla tipica storia di un gruppo di sfavoriti, perdenti in cerca del riscatto molto stereotipata e con i classici passaggi tra cadute, litigi, trionfi e risalite. Questo però non nega al pubblico una visione avvincente e ci si ritroverà a tifare per i nostri eroi pur sapendo come andrà a finire. Insomma vale il vecchio detto “non è importante il fine ma il viaggio”.
Dopo una serie di vittorie (la medaglia d’oro ai Campionati mondiali di tennis da tavolo nel 1981, 1983, 1985 e 1987) ecco che la Cina dal 1990 in poi stava collezionando una serie di sconfitte abbassando notevolmente il livello di gioco rispetto altre nazioni, in particolare la Svezia. Ecco che sperando in una controtendenza viene affidata la squadra a coach Dai (ispirato a Cai Zhenhua) che si rivela essere un allenatore molto particolare che porta avanti scelte altrettanto singolari.
Il film quindi ci presenta i vari componenti della squadra, ognuno con le proprie caratteristiche, un po’ stereotipate e classiche tra motivatori simpatici e atleti silenziosi o sopra le righe, ed in effetti nonostante la durata del film (circa 2 ore e 20) lo sviluppo di questi personaggi è carente e il film passa troppo tempo su coach Dai e troppo poco sulle altre personalità. Si preferisce portare avanti i fatti per come sono accaduti, con relative licenze poetiche e modifiche varie, coprendo un lasso di tempo molto lungo che parte dall’ingaggio del coach, la ricerca dei giocatori e due gare importanti.
Parlando invece sull’aspetto tecnico e più di movimento, il film riesce molto bene a interessare e tenere alta l’attenzione soprattutto nei momenti della preparazione degli atleti e delle due gare messe in scena. In tal senso i suoi 140 minuti di durata non si sentono perché non c’è mai un momento di stanca o in cui la storia si ferma e si sofferma troppo su dialoghi noiosi o aspetti poco interessanti.
“Ping Pong: Il Ritorno” è quindi un buon film sportivo con ottimi momenti galvanizzanti e adrenalinici pur rimanendo troppo classico e didascalico nel suo progredire e che racconta uno spaccato di storia poco conosciuto, almeno in Europa, e quindi ancor di più da non perdere.
Andrea Arcuri