All’Arlecchino un capolavoro di Dreyer con musica dal vivo

24 Set, 2024

Nuovo imperdibile appuntamento con gli eventi inseriti nell’ambito della rassegna “Norwegian Cinema – Omaggio a Edvard Munch e al cinema norvegese contemporaneo”
prodotta da Cineteca Milano, in collaborazione con l’Ambasciata di Norvegia nell’ambito della mostra “Munch – Il grido interiore” che si svolge a Palazzo Reale.

Il 4 ottobre, alle 20.30, al Cinema Arlecchino ci sarà la proiezione con accompagnamento dal vivo di La fidanzata di Glomdal, film muto del 1926 di Carl Theodor Dreyer, girato in Norvegia pur essendo Dreyer danese. L’accompagnamento musicale dal vivo sarà eseguito da Christian Wallumrød; sarà presente in sala Thomas Christensen, Lead Curator della Cineteca Danese.

La fidanzata di Goldman è sostanzialmente un inedito in Italia avendo avuto un passaggio nel 2017 alle Giornate del cinema muto di Pordenone. La proiezione del 4 ottobre, quindi, è un’occasione imperdibile per gli appassionati di storia del cinema, del periodo del muto e in generale della Settima Arte per ammirare un piccolo capolavoro del regista danese. Si tratta di un film di ampio respiro, girato da Dreyer tra i paesaggi affascinanti della Norvegia dove ebbe un grande successo di pubblico; uno dei film con cui Edvard Munch ha affinato il proprio spirito artistico.

TRAMA E CRITICA DEL FILM
Regia: Carl Theodor Dreyer; Con: Einar Sissener, Tove Tellback, Stub Wiberg, Harald Stormoen, Alfhild Stormoen, Oscar Larsen, Einar Tveito, Rasmus Rasmussen; Titolo originale: Glomdalsbruden; Origine: Norvegia, Svezia; Genere: Drammatico; Norvegia, 1926, 75’; b/n. muto con musica dal vivo
L’amore fra due figli di contadini è impedito dal padre di lei, che la vorrebbe dare in sposa a un pretendente benestante; la ragazza allora fugge e trova rifugio nel podere della famiglia del ragazzo. Ci si mette di mezzo anche il vicario locale, che riesce a sbrogliare piano piano la matassa.

«La fidanzata di Glomdal – scrive Marco Romagna su Quinlan.it – è un perfetto film rurale norvegese fatto di paesaggi assolati e di amore matto e disperatissimo, fatto di barriere sociali e di riconciliazioni, fatto di centralità della donna che vince le oppressioni e di profonda umanità. In questo film di distanze sociali e di genitori oppressivi che pretendono per la figlia un danaroso partito e non certo un contadino, non solo l’amore è considerato un dono divino sul quale l’uomo non deve né può in alcun modo interferire, ma sarà proprio una figura religiosa, il vicario del paese, a ospitare Berit e a recarsi personalmente dal padre per farlo tornare sui suoi passi, facendogli nuovamente accettare la figlia fuggita al matrimonio da lui combinato con Gjermund e facendolo finalmente acconsentire alle nozze con il volenteroso Tore. Si tratta di una visione inedita del clero da parte di Dreyer, ben più interessato in genere alla spiritualità personale che alla funzione morale degli uomini religiosi. Una visione, di fatto, mutuata dai libri di Jacob Breda Bull, seguiti fedelmente nel dipanarsi della trama, ma maggiormente umanizzati sia con accenti sulla ribellione di Berit considerata dal padre alla stregua di un pacco postale e invece pronta anche a parole, nel litigio, a farsi valere e a far valere l’eguaglianza sociale, sia nella caratterizzazione del pretendente ricco, sconfitto e vendicativo Gjermund, che rimane personaggio negativo nelle sue gelosie e nei suoi accordi matrimoniali che scavalcano del tutto la volontà della donna, ma viene pervaso nelle motivazioni dei suoi gesti da una disperazione di fondo totalmente assente in Bull e invece quasi commovente in Dreyer».