Ludwig van Beethoven fu uno dei più grandi geni musicali mai esistiti. Indagarne la vita vuol dire accostarsi ad altezze umanamente insolite, rubarne per un istante la grandezza e la follia per raggiungere ebbrezze ed emozioni insperate. In scena la storia del suo talento immenso e della sua umanità. Trasportato da una «passione antica» che trasuda in ogni battuta e in ogni suo gesto, Corrado d’Elia ci racconta la genesi di quella Sinfonia, quei quattro movimenti così conosciuti e amati che hanno cambiato la storia della musica per sempre.
Perché Beethoven aspettò dieci anni per comporre la Nona avendone la musica già in testa? Cosa successe in quei dieci anni? Cosa cambiò nel mondo che lo circondava e dentro di lui, e, soprattutto, come si preparò alla serata della prima rappresentazione a Vienna il 7 maggio del 1824? Rinunciando alla mimesi, l’attore, regista e autore sceglie semplicemente di narrare Beethoven; la sordità, i rapporti col padre e con il suo tempo, il suo talento, gli amori, profondi e contrastati, le sue durezze e soprattutto la sua musica immortale.
Per me scrivere uno spettacolo, pensarlo e farlo uscire dalla mia anima significa farlo rimanere per sempre. Io credo nel repertorio. Quello che faccio è scrivere qualcosa di me, che quindi necessariamente matura con me. Quando oggi racconto Van Beethoven rispetto a qualche centinaio di repliche fa, ho coscienza di ogni singola parola. Spesso mi diverto a cambiare sul palco, perché approfondisco e metto in scena una ricerca davanti al pubblico in quel preciso momento. Sono aspetti che creano una stratificazione di emozioni e di miglioramenti dello spettacolo. Credo che questo sia il vero patrimonio del teatro d’autore. Come in tutti i personaggi dei miei spettacoli, nel titolo metto la parola “io” davanti. Non solo per presentare la soggettiva e l’interpretazione del personaggio, ma perché racconto di altri per raccontare di me – Corrado d’Elia