La visionaria creazione di un musicista ai vertici del rock mondiale, le canzoni di una cantautrice di primo piano della scena pop-rock internazionale e una grande interprete della musica italiana che si confronta con il teatro musicale contemporaneo. Insieme per una storia di streghe, persecuzioni, illusioni e piani diabolici ambientata nel passato per raccontare anche il nostro presente.
La scelta di puntare su un forte contrasto tra liriche sinfoniche con marcati accenti rock anni ’80 è molto precisa e chiara nella sua trasposizione stilistica di quest’opera. Ricordiamo che le musiche sono state firmate dal polistrumentista statunitense Stewart Copeland, batterista fondatore dei celeberrimi Police con i brani aggiuntivi della cantautrice Chrissie Hynde dei Pretenders. Si diceva che le musiche hanno una forte tendenza a valorizzare le voci piriche degli attori e attrici in scena mentre la punta rock viene garantita dalla cantante Irene Grandi nel ruolo della protagonista Isabetta.
La storia ambientata verso il 1300 racconta di un paesino del Piemonte dove è in atto una caccia alle streghe da parte dell’inquisizione. Nello specifico vengono prese di mira tre donne: Manzinetta (Maddalena Calderoni) che gestisce un bordello, Nele (Veronica Granatiero) padrona di una macelleria e Isabetta )Irene Grandi) che vive nei boschi e prepara pozioni. “Devono dar la colpa a qualcuno” è una delle frasi cantate che sentiamo più spesso perché quando il popolo sembra troppo dedito ai piaceri della carne, la pestilenza dilaga e la fede diminuisce c’è sempre bisogno di qualcuno da incolpare.
Si cerca quindi di mettere nel mezzo Dio che agisce tramite sui rappresentanti che davano la caccia incontrollata a donne che, con i loro intenti curativi fuori dal normale, padrone del loro destino e magari di un’attività o che si creavano un lavoro nel soddisfare i piaceri carnali, venivano indicate come streghe intente a feste e accoppiamenti con Satana e quindi mandate alla tortura più cruenta e terribile e infine al rogo. Si sente anche una punta di godimento sadico di chi si atteggiava da giudice-giuria-carnefice.
Ne viene fuori uno spettacolo folgorante che lascia senza fiato nel vero senso della parola perché nella partitura di Copeland di quest’opera di un’ora e mezza circa la musica è costante senza mai lasciare tregua allo spettatore riuscendo a variare in maniera armonica tra varianti polisemiche sonore cantate in stile lirico con un sottobosco celtico e rintocchi di un rock aggressivo. Le parole che ascoltiamo non sono leggere, gli argomenti più spinosi non vengono solo sfiorati ma esplicitati a gran voce con parole taglienti e allusioni più che esplicite mentre le scenografie e i movimenti dei ballerini vanno ad enfatizzare tali spunti che virano dal volere essere sexy, seducenti, blasfemi e provocatorie.
Peccato che ci sono anche piccoli difetti da far notare come un corto circuito che si innesta nel momento in cui capiamo che siamo in Piemonte e quindi ci si chiede come mai tutti parlano e canto in inglese; di una regia totalmente assente e vuota nel dare esaltazione a quello che si vede con semplici e continui passaggi da volersi concentrare al centro o in un lato del palcoscenico. Le danze possiedono a volte una forza vibrante che vuole scandalizzare ma altri poco coinvolgenti o probabilmente non risaltati a dovere e dove invece spiccano le video scenografie immersive anche se risultano ripetitive. Infine dispiace che l’ultimo atto che ha il sapore del sangue e della vendetta pecchi di imprecisioni (nel cinema si chiamano anche buchi di sceneggiatura) tra corde e pali suggeriti ma che non ci sono, personaggi che appaiono o rinascono e una sensazione di fretta nel voler chiudere tutto velocemente.
Andrea Arcuri