Il tatuatore di Auschwitz è la storia di un Lali, un ebreo slovacco, che, nel 1942, viene deportato nel campo di concentramento ad Auschwitz. Lali diventa uno dei Tätowierer (tatuatori), incaricato di marchiare i compagni di prigionia con i numeri di identificazione e un giorno incontra Gita, una ragazza appena arrivata nel campo di concentramento, e se ne innamora all’istante. Inizia così una storia coraggiosa e indimenticabile sotto costante sorveglianza da parte di un instabile ufficiale nazista delle SS Stefan Baretzki.
La serie viene messa in scena con profonda sobrietà a livello estetico e nei toni scelti. Questo dimostra la voglia di dimostrare massimo rispetto verso il soggetto scelto, le vittime e la forza della storia sorvolando e lasciando da parte tutta quella componente che solitamente viene aggiunta per l’intrattenimento.
Non bisogna però aspettarsi una serie noiosa o troppo lenta, i momenti più attivi ci sono ma certamente sono più legati alle brutalità del campo di concentramento, ai passaggi drammatici e violenti che vivono i protagonisti e la profondità dei loro sentimenti.
La recitazione è di altissimo livello con ottima intesa tra i due protagonisti e un ritrovato Harvey Keitel nel ruolo di Lali invecchiato che racconta la sua storia. Quello che davvero differenzia questa storia da tante altre incentrate sull’olocausto è il fatto di voler mettere al centro una storia d’amore ma soprattutto nella rappresentazione della vita degli ebrei sopravvissuti dopo quel periodo cosi traumatico.
La miniserie è composta da sei episodi e non vediamo l’ora di conoscere il resto della storia di Lali e Gita raccontata a noi attraverso i magnifici occhi e il forte trasporto emotivo di Harvey Keitel.
Andrea Arcuri