Estranei di Yamada Taichi. Recensione

5 Apr, 2024

Solitamente non sono un grosso amante della letteratura giapponese. Il mio #imprinting all’occidentale solo in rare situazioni mi permette di tenere a distanza i cliché di un certo modo di scrivere confinato all’Europa o a Paesi che si allineano al pensiero del vecchio continente. Quando capitano queste occasioni, allora mi è possibile allargare i miei ristretti orizzonti.

Proprio con #Estranei mi è successo di godere di un viaggio particolare. In ambito narrativo, il Giappone non è nuovo alle situazioni surreali o a forme personalizzate di #realismo_magico

Qui però sussiste anche una componente allucinatoria che probabilmente infonde un elemento di novità -almeno per me- al prodotto. Questa componente è l’elemento che piacevolmente spariglia i tentativi di chi legge nel momento in cui tenta di decodificare i simbolismi contenuti nel testo.

Forse, il modo in cui si accenna alla tematica del #doppio potrebbe far sembrare meno #giapponese il romanzo.

Alla fine della lettura ti accorgi che le interpretazioni che si possono attribuire al romanzo sono varie e molteplici. A volte potrebbero apparire discordanti tra loro ma pur sempre congruenti al testo.

E sempre dopo aver completato il libro ti rendi conto che pure il titolo si presta ad essere visto da varie angolazioni. Sta di fatto che, tra le possibili spiegazioni, #Estranei potrebbe essere visto come una metafora della vita non solo giapponese ma di qualsivoglia essere umano che viva in un contesto evoluto, qualunque sia la sua latitudine. Di cos’è fatta questa vita? Di solitudine, di diffidenza, vale a dire due fattori che compongono una #comfort_zone verso il mondo esterno che risulta assai difficile da scalfire, in particolar modo se si è adulti. Alla luce di questo, sarebbe bello capire da dove abbiano origine quegli stati di alterazione mentale che affliggono il protagonista e sapere in quale modo agiscano su di lui.

Non si rimane insoddisfatti, una volta terminata la storia. Lo dico specialmente per quelle persone che come me non hanno il palato abituato alla letteratura di quelle zone. Sui finali di altre opere si rimaneva spesso con espressioni attonite e punti di domanda disegnati in faccia.

Qui no.

Anzi, sarei proprio curioso di vedere il film a questo punto, per vedere come sono stati tradotti su pellicola linguaggi ed atmosfere.

 

Enrico Redaelli per Globalstorytelling